INTERVISTE
Nadia Alberici - recensione di Carolina Colombi
Nadia Alberici e la sua silloge Mi prende d’amore una forma: immagini evocative dovute a uno sguardo curioso
“Nei vuoti un orlo di pensiero/ Ai margini una fuga gialla/ L’attimo che zampilla/ sottile/ un fuscello che affiora/ dalla memoria/ e il vento/ il vento/ il verde/ sono i miei amanti/ Mi piovono dentro.”
Voce fuori dal coro, la poetessa Nadia Alberici regala al suo pubblico una silloge intensa e dai contenuti importanti, la quale contempla in sé una visione d’insieme che poggia su elementi che fanno parte dell’universo emotivo dell’autrice.
È un felice connubio quello che compie la Alberici nella sua raccolta poetica Mi prende d’amore una forma.
Fra immagini evocative, dovute a uno sguardo curioso, volto a cercare nella natura un altrove, e la parola, intesa come ricerca della verità. Connubio che attraversa le liriche con forza e al contempo con singolare delicatezza.
“Cospargo di limoni la tua distanza/ Come fosse un cammino di premure/ La fragranza risuona fine/ Lungo il setto del senso/ Il tempo ha dislocato sul ciglio…”
Filo conduttore della raccolta è la percezione di un accadimento, un evento inteso come misterioso, e nascosto fra le parole; un qualcosa che, per concretizzarsi, deve assumere una forma.
Si tratta forse di una realtà sconosciuta in cui l’anima vorrebbe rifugiarsi, ma nel timore, forse reale o forse no, di essere inghiottita dall’oscurità di un pericolo prossimo, scappa?
“Lo sfarfallio di certe promesse/ Sul rosario sommesso della sveglia/ Gli occhi chiusi dell’armadio/ E l’insensato sostare del comò…”
Sono diversi i temi che emergono vigorosi dall’intrecciarsi delle parole che, strette le une alle altre, formano un unicum quanto mai efficace e un importante momento espressivo dell’autrice.
La natura innanzitutto.
È attraverso le parole che si crea una fusione in un continuo scambio di pensieri ed emozioni tra il sé della scrittrice e la realtà cui partecipano i diversi elementi cosmici. Un obbligo sentimentale nei confronti della natura, fin quasi a fondersi in essa.
Collocate in una dimensione al di fuori del tempo e dello spazio le liriche si fanno mezzo perché l’io si identifichi con la natura, in un uso ripetuto e attraverso richiami ricorrenti, sibilati in un apparente silenzio.
Il silenzio è, infatti, altro motivo di cui si serve la Nadia Alberici per esprimere il suo sentire.
Un sentire che sposa il pensiero facendosi parola atta a manifestare il momento creativo, in un approfondimento che prende forma nei versi.
Il concetto di silenzio si svela come detentore di verità, condizione essenziale per esprimersi, e preparare a un luogo colmo di rimpianto per ciò che poteva essere e non è stato.
I versi in cui l’elemento silenzio è vigoroso sono quelli che si apprestano a un divenire, dalle quali si sprigiona un sentimento di malinconia del tempo che fu e torna a farsi presente.
“A ben pensare i silenzi aleggiano e odorano/ nella quiete che si stende sulle cose inanimate…”
A seguire, strettamente connesso al silenzio, è il tempo, inteso come momento che scandisce la provvisorietà della vita; a volte, invece, si fa dimensione parallela che scorre accanto a quella reale.
Da qui la dicotomia tempo-natura che, al confine con l’infinito, volge uno sguardo in un altrove, in un futuro che pare provenire da un luogo remoto.
È tempo interiore attraverso cui l’autrice raccoglie frammenti di realtà, per ricomporli in un mosaico temporale che corrisponde al suo mondo emozionale, parte più autentica del proprio sé.
“Il tempo/ il tempo/ una crosta terrestre che aveva l’urgenza di essere percorsa…”
Il mistero. Altro elemento che aleggia imperioso sulle parole della Alberici, messe al servizio del pensiero che si fa inchiostro sulla carta, onde sviscerare un istinto primordiale che offre spazio all’immaginazione. Un mistero che in sé contempla la raffigurazione della notte che tutto inghiotte.
“… Essere corpo/ essere tutto/ prima del lutto/ della notte.”
Poi, metafore e similitudini che vestono di un senso di profondo la raccolta, e si fanno pensieri annodati da mani nodose ma dall’insostituibile leggerezza dell’anima, che si apre a palpiti, a volte anche inquieti.
“Amore che sei parola/ in divenire/ che sei slargo/ inatteso di fiume…”
Amore quindi, da definirsi sentimento per eccellenza. Verso le cose terrene, ma anche per quelle immateriali animate da istinti ancestrali.
Perché l’amore è capace di capovolgere gli spazi, le cui reminiscenze sono parole dai contorni appena sfumati. Essenziale è andare oltre l’eloquenza delle parole che si elevano in un continuo fluire.
Anche in questo caso si fa evidente il connubio amore-natura, inscindibile; in un dualismo che attraversa le liriche offrendo alla silloge compiutezza che, grazie alla costante presenza di elementi cosmici, accostati all’amore, si manifestano con un operare preciso e puntuale.
“E ti ho visto/ bello/ con la mia bocca che ti aspettava…”
I temi che la poetessa prende in considerazione paiono interrogativi, non certezze, ma proposte attraverso cui recuperare la percezione dell’io nascosta fra le pieghe delle parole.
Interrogativi che a volte si fanno fantasmi, perché preda di un senso di smarrimento che si percepisce in alcuni dei versi di Mi prende d’amore una forma.
“… Ho smarrito tante cose di me/ e mi sto disfacendo/ ferma sulla strada e la nebbia…”
Versi che si fanno espressione di un sentimento alloggiato in fondo all’anima dell’autrice, e che hanno la funzione non solo di esprimere il suo mondo interiore, ma anche di veicolare riflessioni profonde che riguardano la realtà partecipata da ciascuno. Sulla paura, per esempio, motivo di turbamento che spesso inibisce il completo esternare dei sentimenti, proprio come quello dell’amore, a volte nascosto da una sorta di pudore. Paura, però, intesa anche come moti dell’anima che, scompaginati dal succedersi delle emozioni, cercano risposte nella natura da cui sono circondati.
“Ma tu aspettami/ che non sono ancora conclusa/ lasciata qui confusa e alla rinfusa…”
Sono quindi molteplici le considerazioni sollecitate dall’autrice, le quali prospettano al lettore una chiave di lettura riconducibile a una dimensione del tutto nuova, a volte poco conosciuta, ma da apprezzarsi grazie all’universo poetico di cui l’autrice si fa interprete preziosa.
Il suo sguardo, non solo si sofferma su ciò che fa parte della propria interiorità, ma va oltre, fino a scandagliare con le parole, che si fanno tramite, sentimenti ed emozioni appartenenti all’universo emotivo di ciascuno.
E, alla poesia è affidato il compito di esprimere la dissoluzione della parola, nell’istante in cui tenta di disegnare le trame e i percorsi seguiti dalla memoria. Parole virtuose attraverso cui s’infila il dubbio, che non ha connotazione negativa, semmai è parola consapevole della bellezza della natura cui l’autrice partecipa.
“Mi svegliai tra il vento scompiglio/ e anima/ di erba e capelli/ il volo e la fronte…”
La raccolta, che ha il pregio di essere originalissima, è sviluppata con linguaggio asciutto, scarno ed essenziale, nonostante la ricchezza espressiva custodita nei versi, colmi di suggerimenti evocativi. Di dettagli, anche sensoriali, pronti a valorizzare una silloge, già di per sé ricca di contenuti che si fanno spunti di importanti argomentazioni; sulla vita, sull’amore, sul rapporto uomo-natura, sulla caducità del tempo che in una mutazione continua si porta via frammenti di vita, in una dimensione spazio-temporale di ineffabile cattura.
Il percorso poetico intrapreso dall’autrice, per dare forma alla silloge non è facile, anzi, piuttosto sinuoso.
Ma trova la sua ragion d’essere nei ricordi non inquinati dalla passione, perché osservati oggettivamente.
“Mi ricordo, sedemmo sotto un buio fresco/ per gli anni a venire./ Qualche parola non necessaria/ e poi nell’aria così aperta…”
Capace di sciogliere in versi il proprio universo emotivo con particolari costrutti e virtuosismi, la poetessa Nadia Alberici confeziona con voce sincera un prodotto di elevata qualità culturale. Il tutto, espressione di una penna raffinata che si consuma in un’apoteosi poetica di ingente caratura.
“Per quella poesia che ancora non esiste/ che strappa le pagine/ che si fa troppo seria o romantica/ che insiste con la sua idea/ sfornando verbi e versi, sparando a casaccio…“
Written by Carolina Colombi
Info
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- Ultimo aggiornamento 23/01/2021